Dal libro: Alla ricerca del tempo passato di Livio Marazzi

Sull'onda patriottica che segue la fine della prima guerra mondiale, tutti i Comuni si attivano a commemorare le proprie vittime con un monumento a ricordo dei caduti ma anche simbolo di speranza per un avvenire di pace. La realtà sarà purtroppo molto diversa e a questi caduti altri se ne aggiungeranno. Anche il Comune di San Possidonio procede alla commemorazione dei propri caduti (settantadue morti e sedici dispersi) e, trovandosi nell'iminenza di dover celbrare anche il Centenario della morte del proprio concittadino più illustre don Giuseppe Andreoli, provvede a far realizzare un monumento che rievochi entrambe le ricorrenze. A tale scopo è indetto un concorso aperto a tutti gli artisiti della provincia e tra i progetti presentati viene scelto dalla commissione il bozzetto "L'Arte è la Mia Vita" dello scultore modenese Alfredo Gualdi. La realizzazione è commissionata ad una fonderia di bronzi d'arte e decorativi di Milano, e in rapporto alle modeste dimensioni del Comune e da quanto realizzato dagli altri Comuni della provincia di Modena, il monumento rientra tra i sei complessi monumentali di rilievo. Il monumento è collocato a metà strada tra l'abside della chiesa e la casa della salute, sopraelevato di una decina di cemtimetri dal piano stradale. L'inaugurazione è stata effettuat il 17 ottobre 1922.

Chi era Don Giuseppe Andreoli

Giuseppe nasce al n°1 di via Andreola, nell'attuale villa settecentesca Bernini, il 6 gennaio 1789.

A sette anni è affidato all'educazione del parroco locale che gli impartisce i primi rudimenti scolastici. Gli anni dell'adolescenza sono caratterizzati dal conflitto con la famiglia, contraria alla sua intenzione di farsi prete.Il giovane trova conforto nello zio don Giovanni Battista, il quale trova un sostegno economico da parte del marchese Tacoli che permette al giovane di frequentare un breve corso di studi, ma in evidente contrasto con i genitori decide di prendere i voti e il 6 aprile 1817 è consacrato sacerdote.Negli anni immediatamente successivi entra nella Carboneria, perchè crede in un'Italia libera, indipendente e unita. Nel 1822 viene condannato a morte dal duca Francesco IV, poichè accusato di essere iscritto alla società segreta della Carboneria. Don Giuseppe non confermerà mai la sua appartenenza alla Massoneria, ne tanto meno farà mai i nomi dei propri compagni e, per questo, il duca nel condannarlo chiede che sia utilizzat la forca, strumento di morte riservato ai peggiori criminali. Il 17 ottobre 1822 viene decapitato a Rubiera.